Klara Rubino
- 12/03/2018 09:34:00
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Questi due frammenti si incastrano, saranno dello stesso puzzle? Orfeo, menestrello!
Il magazzino degli scarti, sarà mica il mondo di oggi, o meglio il tempo del mondo di oggi; mi ricordo del registro di magazzino, naturalmente fornito di 31 pag. numerate, come i giorni del mese. Gli scarti siamo noi, o meglio le nostre vite o parentesi di vite? Patroclo?Chi è? Il magazziniere, il poeta, luomo, leroe? Lamico umano delleroe?
...comunque da criceto, nella gabbia n.3, ho vissuto per una decina danni e non lo rimpiango!
gatta cieca lo sono adesso, come donna...mi sa che è più un male che un bene; un gatto che mi guarda con compassione forse ci sarà! Tartaruga sono da lettrice, di poesie soprattutto; farfalla lo sono quando scrivo, una farfalla imperfetta e sbadata, che spesso si perde, si infila dove non dovrebbe, cade e sbatte! Ed è una poesia, questultima tua, che offre mille spunti interpretativi; io ci ho messo il mio!
P.S. Uffa, mi conosci bene!
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Klara Rubino
- 12/03/2018 09:19:00
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Cadavere n.2,
l’ombra dell’onda riflessa nella mia retina destra,
mani serrate ad afferrar sabbie mediterranee
indossate sotto bermuda rossi da surf.
Gabbia n. 3,
neanche una ruota in cui muovermi
in un mondo che non smette di correre
attendendo veleni, alla fine del labirinto.
Cadavere n. 7,
tentativi di urla smorzati alla bocca dello stomaco
cartine da hashish di Marrakech nelle mie tasche,
scarsi, i dirham, seminati tra borsello e calzoni,
mi condussero in bocca all’abisso.
Gabbia n. 8,
ronzano i silenzi delle fusa,
dormendo sogno un mix di gomitoli
e aghi conficcati nelle iridi azzurre,
affidandomi alla sensibilità delle mie vibrisse.
Cadavere n. 12,
«Eloì, Eloì, lemà sabactàni»,
non ricordo chi l’urlava a chi
non essendo scritto nel Corano:
anch’io sono morto invocandolo invano.
Gabbia n. 13,
irrequieto, incatenato in catena di smontaggio,
osservo il gatto cieco imprigionatomi di fronte
e, dimenticati naturali odii di razza,
vorrei leccare ogni sua ferita.
Cadavere n. 18,
ritirata sulle strade tra le dune di Misurata,
in slalom assetato tra missili amici e nemici,
e morire d’acqua.
Gabbia n. 19,
marciando lenta verso una foglia di lattuga
fatico a ricordare, senza una casa radicata sulla schiena,
d’essere ancora tartaruga.
Cadavere n. 20,
benché i nomadi, come me, ondeggino
sulle navi del deserto, fluidità detonate,
mai s’abitueranno ad annegare.
Gabbia n. 21,
mi hanno strappato entrambe le ali
in cerca di un rimedio contro i mali dell’uomo.
Mi auguro che, almeno lui, mai smetta di volare.
Ogni tomba d’ignoto migrante
sussurra che è duro abbracciare
una morte che viene dal mare.
Queste gabbie d’ignoti animali,
allestite da menti criminali,
ci sussurrano che nuove sperimentazioni sono terapeutiche
solo sui bilanci delle case farmaceutiche.
[Scarti di magazzino, 2013]
[Patroclo non deve morire, 2013]
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